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Appunti di un navigante - Paragrafo 2

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TurinAnglachel's avatar
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Il giorno dopo decisi che non sarei più tornato in quel bar. L'ho odiato quella notte e non so perché. Pensavo c'entrasse una donna. Forse ne avevo conosciuta una davvero e l'avevo desiderata tanto da odiare in primis me stesso per non essere riuscito ad averla. Quindi, me la sono presa con tutto quello che mi circondava, come se fosse sbagliato tutto il resto e non io. Beh, a quei tempi non brillavo certo per perspicacia. Quella sera mi concentrai sul mio odio tanto da finire per compatirmi (ancora una volta) e passare a desiderare qualcosa di meglio per me stesso. Alla fine di tutti questi intrallazzi mentali, ridevo del mondo, del mio comportamento cretino e di qualunque altra cosa fosse a portata di vista o di pensiero. Sembravo un idiota … e lo ero! Uscii e tornai in quel bar. Nessuno suonava ed era praticamente vuoto. Prima di iniziare a deprimermi, decisi di uscire di lì: almeno quella sera dovevo divertirmi! Fuori dal locale non c'era molta gente, ma abbastanza da tenermi compagnia. Nel pomeriggio aveva piovuto, quindi l'aria era turgida e i ciottoli della strada bagnati. Mi concentrai sul respiro. Volevo trattenere quell'aria così pura e forte nel mio corpo. Volevo sentirmi più forte anch'io. Dopo un po' mi girò la testa e smisi. Mi sedetti su uno scalino e osservai. L'immagine era davvero stupenda. Le luci chiare, la pietra nera, le persone grigie e immobili. Un fotogramma perfetto. Peccato non avessi la mia macchina! Avrei fatto tante foto da farmi odiare e ricevere perlomeno qualche rimprovero o minaccia. No, non ne avrei avuto il coraggio. Mi sarei fermato a una decina di foto e poi avrei smesso. Mi misi a cercare soggetti: un uomo mezzo brillo rideva con i suoi amici in fondo alla piazza, un gruppo di fighetti sorseggiava cocktails immerso in conversazioni pseudo-intellettuali, altri bevevano e fumavano in serenità. Giusto, una sigaretta! Cercai il pacco. Era l'ultima. Ne avrei cercate altre. Accesa. Ok, continuiamo! Erano tutti immersi nelle loro conversazioni, mentre io iniziavo a sentirmi solo. La mia condizione ricorrente è sempre questa. Cercai allora soggetti solitari. Volevo scoprirli e analizzarli. Nessuno. Solo gruppi, coppie… Una ragazza mi aveva guardato un attimo. Bella! La fissai, anche troppo. I capelli castano chiaro lunghi e ondulati, schiariti da riflessi sul biondo arancio che non sempre si notavano. Naso sottile e un po' all'insù. Labbra favolose. Avrei voluto strappargliele a morsi. Poi quel colore del rossetto! Aaaah! Dovevano essere mie! Gli occhi, però, non riuscivo a vederli bene. Era troppo distante e i capelli che le svolazzavano ogni tanto in fronte non mi aiutavano. Comunque stavo esagerando. Di sicuro se n'era accorta. Dovevo smettere. Ma non potevo fare a meno di guardarla. Sembrava essere l'unica cosa interessante in tutta quella parte di mondo. Era troppo bella per essere là, era troppo bella per essere guardata da me, ma era pure troppo bella per essere guardata dai suoi amici o da chiunque altro. Ci voleva un'altra sigaretta. Almeno avrei avuto una compagna. Mi ero dimenticato di averle finite e presi il pacco, vuoto e schiacciato, inutilmente. Cercai un cestino e lo buttai. La ragazza però non c'era più. L'avevo persa.  Mi spostai un poco per vedere se fosse andata più in là, ma niente. Non c'era. Peccato, avrei voluto guardarla ancora un po'. Mi risedetti al mio posto. Ora iniziavo a sentirmi davvero depresso. Mi avevano tolto il mio unico svago! Sapessi almeno dove fosse (e con quale bastardo infame), se l'avessi mai rivista. A quel punto, era tutto inutile. Ricominciai a osservare le persone e poi… poi la vidi! Ero un idiota! Si era spostata dall'altra parte. Probabilmente era passata dietro di me e si era seduta, anche lei sola, qualche metro più in là. L'aveva fatto per me! Mi aveva notato e si era seduta là per me! Iniziai a sorridere,  come un beota e la situazione obbliga di fare. Ovviamente, sapevo benissimo che con quella faccia le sarei sembrato un cretino.  Lei, in realtà, non mi prendeva nemmeno in considerazione. Anzi, non mi guardava proprio. Ci rimasi un po' male. Forse aspettava che andassi io. Non sapevo che dirle. Ah sì! Una sigaretta! Una cosa più ovvia e più stupida non ci poteva essere. Sicuramente avrebbe capito tutto e avrei fatto una figura di merda. Ma cosa potevo fare? E poi, avevo bisogno di una sigaretta, quindi… Casomai fosse andata male, avrei perlomeno avuto quella. Certo, se non ne avesse avute, avrei solo guadagnato una magra figura. "Va be', proviamo!" pensai. Mi avvicinai piano piano. Mi sentivo goffissimo. Avevo le gambe un po' molli e avevo paura di cadere. Ormai ero davanti a lei. In un attimo pensai di fare finta di niente e passarle avanti. L'avrei fatto, se non si fosse alzata lei. "Scusa, hai una sigaretta?". "No, mi dispiace". Pensavo fosse finita lì. Però, che strano! Stavo per chiedergliela io e mi aveva fregato sul tempo! Dovevo sfruttare la cosa! "Stavo per chiedertela io, lo sai? Ahah!". Lei sorrise. Era proprio bella. "Allora che ne dici di andare a comprare un pacco e dividercelo? Non ho abbastanza soldi per comprarne uno" disse. Era la mia occasione. Ora però dovevo togliermi quell'espressione da beota, sul serio. "Sì, certo!" Camminammo lungo la strada bagnata. Ora facevo anch'io parte di quello spettacolare fotogramma che avevo immaginato. Avrei voluto essere ripreso. "E' incredibile" dissi. "Cosa?" e mi guardò. "Tutto questo!". In realtà era un modo di mettere a nudo quello che provavo e di confessarle quanto avessi desiderato quel momento, ma non lo dissi. Mi guardò con una faccia un po' curiosa. Allargai le braccia un poco e ripetei: "Tutto quello che c'è qui! Dal pavimento, alle luci, alle case, al cielo. Anche le persone…" e sorrisi un poco. Lei rispose cortesemente al sorriso. "E' vero, c'è una bella atmosfera." Solo a quel punto mi resi conto che non c'eravamo ancora presentati. Allora dissi: "Un'altra cosa incredibile e che camminiamo da cinque minuti e non sappiamo neanche i nostri nomi! Ahah!". Qui rise. "Hai ragione! Piacere Elena!" e mi porse la mano. "Enrico!". Le feci segno di proseguire e lei mi cinse il braccio. In quel momento, davvero, non sapevo cosa fare. Mi chiusi nel mio silenzio, quasi per paura di rovinare tutto. Arrivammo al tabaccaio, che naturalmente a quell'ora era chiuso. Le chiesi quali sigarette comprare.  "Prendile light … quelle che vuoi!". Certo, se avessi preso quelle che volevo, non le avrei di certo prese light. Misi i soldi e selezionai il codice nella macchinetta. Presi il pacco, lo aprii e andammo. Le porsi la sigaretta. Che belle mani aveva. Così delicate. Mi dispiaceva quasi dover offrire loro la sigaretta. Ci fermammo e le accesi la sigaretta. Poi ne presi una e mi diedi pure io a quella pratica orribile. Lei si riappoggiò a me. Ora però la sigaretta non mi andava. Mi sembrava mi allontanasse da lei, da Elena, quasi fosse una compagnia ulteriore e non desiderata. Poteva essere la compagna della solitudine, non quella di due ragazzi che si stavano conoscendo da qualche minuto. Iniziava davvero a schifarmi. La lasciai in mano e decisi, invece, di concentrarmi sulla bella giovane al mio fianco. Avevo paura che se fossimo tornati lì dove c'eravamo conosciuti, non ci saremmo mai più visti. "Quindi … forse dovremmo dire qualcosa, anche se il silenzio è un buon accompagnatore" dissi. Aspirò una boccata e poi mi rispose: "Se vuoi, possiamo rimanere in silenzio." Sorrisi un poco e dissi "Ok". Non avrei mai voluto rispondere così, ma non avevo nemmeno intenzione di essere aggressivo e costringerla a una conversazione. Probabilmente non desiderava neanche rimanere con me. In fin dei conti, ero soltanto un estraneo. Decisi allora di riprendere la sigaretta che, nel frattempo, si era spenta. Sì, l'amica fedele mi stava aspettando. Ha atteso il mio fallimento e la mia fine. Diabolica! La accesi quasi con rabbia. Volevo consumarla e distruggerla per sempre. Poi, magari, ne avrei accesa subito un'altra. Ci sedemmo in piazza, nella scalinata sotto il tribunale. Sembrava un tempio greco, con le sue colonne e il suo timpano. Un nuovo scatto. Mi sentivo a disagio. Non avevo ancora acceso la nuova sigaretta, ma la tenevo in mano, in attesa di accenderla.  "Non la accendi?" mi disse. Finalmente parlava. "No, non ho voglia." Risposi. "E allora perché l'hai presa?" Non riuscivo e trovare una risposta decente, così affermai la semplice verità "Sono un po' nervoso e quindi ho bisogno di una sigaretta, ma non mi va il sapore, la tengo in mano e faccio finta di fumare. Almeno un po' potrei calmarmi." Avevo paura del suo giudizio, così mi affrettai a controbattere un suo qualunque pensiero. "Sì, sono un po' strano". "Si sì, sei strano! " e rise. Forse l'avevo scampata! A quel punto accesi la sigaretta, premio del mio successo. Il sapore, in realtà, non mi andava ancora. "E ora la accendo, perché mi hai fatto venir voglia!" mentii, e sorrisi. Lei però non disse nulla e si fece sfuggire solo un piccolo sorriso. Noto sempre più i sorrisi del resto. Ci tengo troppo. In fondo, se sinceri, sono una delle più belle manifestazioni di felicità. Avrei voluto che tutti quei sorrisi lo fossero, perché i miei lo erano davvero.
Tempo fa ho iniziato a scrivere questo romanzo, il titolo sarebbe "Termine proprio di me stesso" e parla dell'alienazione di un ragazzo rispetto alla sua vita. Il primo capitolo, da cui è tratto questo paragrafo, s'intitola "Appunti di un navigante", più tardi scoprirete il perché.

Purtroppo, ultimamente non sono riuscito a procedere con la storia, ma spero di continuarla presto. Nel frattempo ho iniziato a scrivere il secondo capitolo, "D'amore e."
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ClairesDreams's avatar
Mi piace molto il rapporto d'amore e odio con la sigaretta, definisce chiare immagini della personalità del protagonista. Ci sarebbe giusto (almeno per il mio "orecchio") qualche piccolo aggiustamento, tipo in "un gruppo di fighetti sorseggiava cocktails immersi in conversazioni pseudo-intellettuali" dove mi suonerebbe meglio "immerso", trattandosi di un gruppo. Scusa se mi permetto... Bravo, è accattivante, avanti così!! ;-)